
A cura di
Jacopo Lorenzelli, Alberto Veca
Editore
Galleria Lorenzelli – Bergamo
Anno di Pubblicazione
1983
- Copertina
- Fra scena e platea
- Agli esordi
- La definizione dell’immaginario
- Cerimonie e Apparati
- Una precisazione sul metodo
- Una tipologia del banchetto
- Alla tavola di Cristo
Il banchetto pasquale
L’impianto a sigma
Il posto a tavola
L’impianto concentrato
Il tavolo dilatato
Amplificazione e coreografia
Una estensione
Cerimonia e dramma
La cerimonia enfatizzata
Il cibo mancante
Rivelazione e modello - Dalla liturgia al ritratto
- Il banchetto e la società
- Il pasto umile
- Tavoli del gioco e del vizio
- Cene solitarie
- Tipologie degli arredi
- L’apparato barocco
- Periodizzazione
- Un’ipotesi classificatoria
- Ricognizione delle origini
- Dieci anni
- Colazione
Nelle Fiande
In Germania - Il tavolo
francese
Spagna
Italia - Monocromo e Pronk-still life
- Tavola e cucina della maturità
- Aulico e umile
- Opere esposte
- Symposium – Cerimoniy and setting
English text: Krish Day – Technoref - Riferimenti bibliografici e fonti iconografiche
- Indice
Il protagonista di questa avventura nel mondo della Natura morta fra Seicento e Settecento è il tavolo e le diverse apparecchiature che un supporto così comune, nella pittura come nella vita reale, può sostenere. Se allora per eccellenza esso può coincidere con la mensa, e conseguentemente con le persone che vi si accostano, esistono altri momenti, o altri piani, che possono entrare in gioco con altrettanta frequenza e legittimità, e saranno quelli da lavoro, del passatempo, della contrattazione.
Se si tiene conto dell’ampiezza e delle diversificate funzioni che l’immaginario secentesco conosce all’epoca della fioritura del genere, questa ricognizione degli usi disparati, eppure tutti legati al consorzio sociale, che possono avere il tavolo come protagonista e antagonista nei confronti dell’uomo, assume l’interesse di una indagine sull’apparato inanimato, quindi anche sulla sua disposizione sul piano, in funzione del suo uso, e quindi sul corrispondente atteggiamento dell’uomo, spettatore o attore della scena.
La linea di ricerca che allora anima l’intera iniziativa è quella di riconoscere, nel mondo degli oggetti, questo intimo rapporto, questa logica di relazione con l’attività dell’uomo, che risulta, nel caso della Natura morta, traslata, vicina. Questa impostazione legittima l’ampiezza con cui verranno commentate alcune cene, o alcuni tavoli di lavoro, che nel corso della rappresentazione pittorica dell’Occidente costituiscono altrettante tappe, spesso nell’invarianza del soggetto, dell’evoluzione dei costumi e degli atteggiamenti rispetto alla cerimonia e alla sua concreta realizzazione.
Fra questi due termini, l’apparecchio dei cibi e delle stoviglie e il comportamento dell’invitato, può essere inquadrato il titolo scelto che, a un letterario Simposio, legato alla qualità di un commensale come Socrate e un cronista come Platone, e riferibile all’intervallo fra le portate dedicato alla discussione o alla performance alla moda, aggiunge un sottotitolo complementare, indicando negli Apparati e nelle Cerimonie non solo una evoluzione cronologica, ma anche una vera e propria diversità d’uso.
Una miniatura tratta dalle Grandes Chroniques ora alla Biblioteca Nazionale di Parigi, illustrante la rappresentazione della «Presa di Gerusalemme» durante il festino offerto da Carlo V di Francia all’imperatore Carlo IV, associando il tempo reale del banchetto e il tempo fittizio dell’azione scenica, mette significativamente sullo stesso piano due momenti teatrali: è l’addobbo della mensa a costituire un «simbolo di stato» altrettanto appariscente e ostentato di quanto possa esserlo la sommaria ricostruzione delle mura assaltate.
È allora l’aspetto di recita, non tanto nella statica distinzione fra platea e palcoscenico, ma in quella più intrigante e ambigua di un «teatro totale» dove si mescolano finzione e realtà, a costituire la traccia spesso esplicita dell’indagine che abbiamo condotto, avendo come finalità la ricerca di una legittimità dell’apparato inanimato all’epoca della fioritura della Natura morta europea, ma dovendo, per necessità, riferirci o sconfinare in altre «rappresentazioni», più antiche e altrettanto complesse.
Una strada difficile quella che si è cercato di percorrere, evidentemente non esauriente in alcuni suoi momenti, che dovrebbero essere appunto letti «in funzione» del disegno generale e non come capitoli definitivi: a una strada «facile», specifica del mondo della Natura morta, Pietro Lorenzelli e chi scrive hanno preferito, in questo confortati dal sostanziale assenso ricevuto in occasione delle precedenti iniziative realizzate a quattro mani, continuare in un approccio aperto, certamente non definitivo, di un universo affascinante come quello della Natura morta barocca.
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